25 Dic Bevilacqua tra cronaca e storia
BEVILACQUA TRA CRONACA E STORIA
Questo libro, oramai non più in commercio, è stato pubblicato nel 1990 nel quinto centenario dell’edificazione della prima Chiesa di Bevilacqua ed è il frutto di un intenso lavoro di ricerca da parte di persone che avevano e hanno nel cuore il mantenimento della memoria storica di una comunità. A loro va il nostro ringraziamento per tutto il lavoro profuso.
Renzo Zagnoni, Giampaolo Borghi, Magda Cristofori, Luigi Fabbri
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LA PARROCCHIA DI BEVILACQUA
di Magda Cristofori
L’attuale parrocchia di Bevilacqua comprende il territorio di due provincie diverse: una parte fa capo al comune di Crevalcore (Bologna) con 413 abitanti, l’altra è nel comune di Cento (Ferrara) con 1019. La via Riga, anticamente via Imperiale, detta «La Rega» divide le due provincie: è questa una strada che, invece di unire, ha segnato per secoli il confine fra due realtà economiche e culturali diverse che hanno caratterizzato la storia di due nuclei che, solo da cinquant’anni, sono uniti nella vita parrocchiale e sociale anche se continuano ad essere amministrati da due giunte comunali diverse. La parte centese si è sviluppata sul territorio delle Partecipanze agrarie di Pieve e di Cento dove una lunga serie di «stradelli», perpendicolari alla via Riga, tuttora divide le terre, chiamate capi, dei partecipanti, mentre i fossati e le cavedagne continuano a segnare i confini di ogni parcella. La zona che è detta anche del Malafitto, con un riferimento evidente ad una vita poco facile per i partecipanti che vivevano dei proventi di un’agricoltura poco redditizia, ha avuto una rapida evoluzione economica negli anni Cinquanta-Sessanta quando tutto il Centese è stato interessato ad una veloce «conversione agricola». Con l’introduzione sul mercato delle fibre sintetiche e con la disgregazione delle famiglie patriarcali, non si coltivò più la canapa, la coltura prevalente nella zona, e incominciò la pratica della frutticoltura che tuttora rimane fondamentale nell’economia locale.
Contemporaneamente si è avviata una rapida industrializzazione che ha creato forme di economia, si può dire, miste: molti lavoravano nelle fabbriche e continuavano a coltivare il «capo» della Partecipanza. In relazione alla diffusione degli impianti frutticoli sono sorte le «segherie», fabbriche che offrono un lavoro stagionale e che producono imballaggi per la frutta. Legate all’industria centese si sono sviluppate varie attività artigianali che hanno incrementato il benessere della popolazione.
La parte crevalcorese comprende l’ampio latifondo della nobile famiglia dei Bevilacqua che ha dato il nome al paese. La popolazione nella tenuta, gestita da un fattore, ha trovato lavoro o attraverso i contratti mezzadrili finiti nel 1982-83 con l’avvento della nuova legge agraria o attraverso il bracciantato per quella parte di terra che era coltivata direttamente dal proprietario avvalendosi della manodopera della zona. Il Conte Gherardo di Cristinfrancesco dei Bevilacqua, come dimora, ha fatto costruire nel XV secolo un’ampia e comoda abitazione di campagna abbellita poi con torri, a forma di castello, dal pronipote conte Onofrio d’Alfonso verso la metà del sec. XVI. La corte è corredata di una chiesa padronale e privata dedicata alla Beata Vergine di Loreto costruita quasi tre secoli dopo nel 1719, ora sconsacrata. L’oratorio, la cui cura nel passato era affidata ad un cappellano, doveva avere caratteristiche estetiche apprezzabili. La corte è una costruzione architettonica che meriterebbe un’attenta ricerca per recuperare un ambiente e una cultura che costituiscono le radici della popolazione locale.
La nostra Chiesa, dedicata a S. Giacomo Apostolo e chiamata la Chiesa Bianca dalla gente del popolo, fu fatta edificare dal Conte Gherardo nel 1464.
Il Seta così la descrive: «una Chiesa assai grande, e bella dedicata a S. Giacomo, e dotatala di conveniente entrata, l’instituì iuspatronato della Famiglia».
La Chiesa fu forse ampliata e rinnovata nel 1664, ma con i secoli andò deteriorandosi.
“Distrutta dal tempo” nel 1818 fu ricostruita «d’appresso in meglio riedificata» dai cugini Francesco e Camillo Bevilacqua su modello archetipo di Padre Francesco Beccari di Lendinara dall’architetto Ungarelli Antonio quando era parroco Don Giuseppe Govoni.
Saluti da BEVILACQUA (Bologna)
La via Riga nel 1928 in una cartolina. Ed. Castaldini Enrico – droghiere.
(raccolta Fulvio Mauro)
Il Palazzo Bevilacqua in una fotografia scattata con ogni probabilità negli anni quaranta.
(raccolta L. Fabbri)
Nel corso dell’Ottocento si verificò un altro importante cambiamento che sottrasse Bevilacqua dalla giurisdizione di Nonantola e di Modena. Il Duca di Modena, Francesco IV d’Este, per rettificare i confini dei due stati, lo Stato Pontificio e il Ducato di Modena ottenne dal papa Pio VII che diciassette fra parrocchie e frazioni fossero distaccate dalle Diocesi di Modena ed annesse a quella di Bologna, fra queste sicuramente anche Bevilacqua che, da quel momento, compare nei documenti della Diocesi di Bologna. Incomincia così a delinearsi la fisionomia della parrocchia che si completa negli anni immediatamente precedenti la II Guerra Mondiale.
Nel 1935, con un decreto della Curia Arcivescovile di Bologna, i due nuclei, il centese e il crevalcorese, sono stati posti sotto la stessa parrocchia di Bevilacqua. Fino al 1987 due scuole elementari, di circoli diversi, Crevalcore e Renazzo, raccoglievano i bambini della parrocchia e fino al 1983 l’Asilo parrocchiale, aperto nel 1951, retto dalle suore di Galeazza dell’Ordine «Serve di Maria» dette anche «Mantellate», rendeva un servizio religioso e sociale fondamentale per le famiglie; le suore hanno svolto dal 4 ottobre 1951, con umiltà, un’opera di assistenza verso la popolazione che tuttora mantiene un ricordo carico di gratitudine.
Purtroppo il calo demografico, dovuto alla nuova fisionomia della famiglia nucleare e anche alla mancanza di strutture adeguate, come gli alloggi per i giovani che si sposano, ha determinato la chiusura di una scuola elementare quella Creval corese e la chiusura dell’Asilo con relativo abbandono del paese da parte delle suore. Ora l’asilo è usato dalla comunità parrocchiale per riunioni o per i momenti di svago dei bambini. La parrocchia, nel caso di Bevilacqua, è stato un elemento di coesione e tuttora continua a svolgere una funzione aggregante: ogni abitante si rivolge al proprio comune o provincia per i servizi, vota per le elezioni comunali in momenti diversi, ma si rivolge alla sua Chiesa senza nessuna distinzione e collabora affinché il nucleo parrocchiale continui a mantenersi vitale e creativo.
Bevilacqua, chiesa parrocchiale di S. Giacomo – settembre 1990.
(fotografia di L. Fabbri)
BREVE STORIA DEL TERRITORIO FINO AL SECOLO XV
di Magda Cristofori
La storia di Bevilacqua rientra nell’ambito dell’antica ed estesa «tenuta di Palata» ed è legata a quella delle località comprese nel Pagus Perseceta , il territorio fra il fiume Reno e il fiume Panaro che, nell’Alto Medioevo, era sotto la giurisdizione del Monastero di Nonantola.
Le acque dei fiumi e dei torrenti che scendono dall’Appennino e che scorrono in questa parte della Pianura padana hanno avuto un ruolo molto importante nel determinare, nel corso della storia, le vie di comunicazione e l’affermarsi degli insediamenti umani. Geologia ed idrografia hanno quindi condizionato i centri nella loro dislocazione ed evoluzione fino in tempi recenti; l’uomo, infatti, nei suoi insediamenti ha seguito la morfologia del terreno e ha posto le proprie abitazioni su «dossi e valli» spostandosi ogni volta che un fiume usciva dal letto ed impaludava il territorio. Ricordiamo che il Reno e il Panaro scorrevano liberi, con argini naturali, almeno fino all’alto Medioevo (VII-IX sec.) e spesso uscivano dal loro tracciato e cambiavano corso sotto l’impeto delle piene.
Questo ampio territorio era stato dal III sec. a. C. oggetto della colonizzazione dei Romani che, dopo la fondazione della colonia latina di Rimini 286 a. C., ebbero la necessità di penetrare nell’entroterra verso la Gallia Cisalpina e verso la Venetia per motivi strategici e per procurarsi nuovi mercati. Dopo la fondazione di Bologna (Bononia, nell’ager Boicus) questo territorio, che faceva parte della VIII Regio, fu collegato con Roma da importanti strade.
La prima fu la famosa via Emilia nel 187 a.C. tracciata lungo il piede dell’Appennino emiliano-romagnolo e così incominciò lo sfruttamento sistematico della pianura. intorno al 182 a.C. e 173 a.C. molti altri territori furono assoggettati a vantaggio dei Romani e dei Latini e forse di molti indigeni romanizzati. Lungo le vie tracciate dai Romani si aggregò la popolazione, ma per alcune zone come quella della pianura ferrarese è difficile ricostruire i tracciati, infatti metri di terreno alluvionale hanno sommerso i resti romani (i pochi manufatti compaiono a quattro, cinque metri di profondità).
Per quanto riguarda Bevilacqua i segni della centuriazione arrivano fino alla zona della Filippina dove si possono individuare i resti nei tracciati ortogonali, ma non si può escludere l’eventualità che la fitta rete idrografica, instabile, abbia con le alluvioni e le successive colmate cancellato la centuriazione preesistente. Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.) uno storico romano nato a Padova porta la testimonianza di una divisione agraria nell’ager Bononiensis, comunque le assegnazioni continuarono fino all’età augustea. Il torrente Samoggia sembra il limite riconosciuto della colonizzazione Romana. Seguendo il percorso perpendicolare delle strade nel centese e nel renazzese, si può supporre che tale conformazione sia un prolungamento della centuriazione cancellata dalle colmate del Reno e del Panaro.
Per ricostruire la viabilità in epoca romana, è fondamentale la Tabula Peuntingeriana, documento prezioso del III, IV se¬colo d.C. che mostra due fiumi (Reno e Panaro) che si congiungono in un sol fiume a Nord della via Emilia per confluire poi direttamente nel Po.
I Romani, servendosi delle tecniche idrauliche degli Etruschi, erano riusciti a controllare i corsi d’acqua e il regime dei fiumi, ma tali interventi, nei due millenni seguenti di storia, hanno lasciato poche tracce. Il commercio in questo vasto territorio era alimentato dalle base navale di Ravenna che dall’entroterra riceveva legname per la flotta e derrate alimentari, d’altra parte dalla città partivano olio, vino, ceramiche, manufatti di lusso e anche la pesante pietra d’Istria che doveva servire per l’architettura monumentale.
I veterani, che spesso si stabilivano in queste zone dove avevano militato per anni perché offrivano vantaggiose possibilità economiche, non dovevano certo rimpiangere le loro terre d’origine, la Spagna e la Siria. Dopo la caduta dell’Impero Romano, con le invasioni barbariche, la popolazione abbandonava i piccoli centri di capanne (le case in muratura incominciarono a diffondersi nel sec. XIII) e si rifugiava nelle zone fortificate o difficili da raggiungere. I Longobardi si stanziarono nell’Italia Settentrionale e occuparono un vasto Regno che doveva confinare con la Romania (il territorio non occupato); l’ultimo avamposto doveva essere una città, favolosa, distrutta nel sec. XIV probabilmente a causa di un’inondazione, chiamata Ansa la Regina, detta anche Bucca Civitatis, che sembra si debba collocare fra Alberone e Palata oppure, secondo altre interpretazioni, ad Ovest di Bondeno verso Casumaro. La documentazione archivistica del periodo bizantino e longobardo è pressoché inesistente per il territorio ferrarese e in genere dell’alto ferrarese perché la calata degli Ungheri (sec. IX-X) ha distrutto quello che era stato costruito o ristrutturato su eventuali insediamenti romani.
Tutto quanto il territorio nell’Alto Medioevo è interessato dalla signoria del Monastero benedettino di Nonantola. L’ Abbazia fu fondata intorno al 750 d.C. ai bordi della selva Zena. Il re longobardo Astolfo, a presidio della linea del Panaro, varcato nel 728 dal suo predecessore, fece edificare l’Abbazia e l’affidò al cognato Anselmo, Duca del Friuli. La fondazione avvenne per motivi religiosi e amministrativi, inoltre al re interessava organizzare la zona per proteggere un passaggio importante che metteva, attraverso Persiceto, Monteveglio e Fanano, in comunicazione Ferrara con la Toscana.
Ben quattro boschi: la Silva Maiore, la Silva Alta, la Silva Bella, la Silva Tella erano localizzate fra il persicetano e il centese. Il territorio aveva allora una conformazione difficile, oggi, da immaginare: il Panaro e il Reno e tutti gli altri corsi d’acqua, verso il limite settentrionale del Pagus Perseceta, convergevano in un’ampia fossa e per il riflusso delle acque si formavano estese valli, salubri, divise da boschi e da fiumi che peraltro scorrevano ricchi d’acqua e pescosi. Antichi toponimi come Porto de Lupo (nei pressi di Ravarino) e Nidum Aquilae (Bevilacqua) ricordano la natura selvaggia di questo luogo e dei suoi animali; idronomi come rivus fuscus, rivus obscurus (fiume nero, buio) suscitano l’immagine di luoghi misteriosi che dovevano essere quasi inaccessibili nei lunghi mesi di nebbia quando il paesaggio era reso più tetro dalle buie e corte giornate invernali.
Molti luoghi erano raggiungibili solo attraverso i corsi d’acqua soprattutto nelle zone più paludose come quelle nei pressi di S. Carlo e S. Agostino. È importante ricordare che durante i lunghi secoli delle invasioni barbariche, la Chiesa, attraverso i suoi monasteri e cenobi, costituì l’unico punto di riferimento per la popolazione che si rifugiava nelle zone paludose e cercava appoggio presso il Monastero che aveva un ruolo religioso e giuridico-amministrativo. Si può dire che l’opera dei monaci preservò l’Europa occidentale e la fece rinascere a nuova civiltà dopo il Mille.
Nonantola e la sua Abbazia sono il punto di riferimento anche per la storia di Bevilacqua. Nel sec. IX, l’ampio territorio compreso fra Crevalcore, Stuffione, Cento, S. Felice e Finale fu donato dai Duchi Longobardi Rotari e Mechi al Monastero. La donazione comprendeva due corti: la Sabiniana e la Siconia che corrispondevano a Galeazza, Bevilacqua e Palata; rimase poi solo il nome della Corte Siconìa che diventò la corte del Secco. Queste terre si trovavano nel Pagus Perseceta fra il fiume Reno e il fiume Panaro. La corte del Secco era importante per i collegamenti fluviali predisposti dal Monastero di Nonantola che cercava di dare continuità territoriale al proprio dominio.
I porti fluviali che si trovavano alla confluenza delle fosse navigatorie dovevano essere centri di raccolta dei prodotti per lo smistamento verso il convento.
Ricordiamo un Portu de Sicco, nominato in un atto nell’anno 1109, che doveva trovarsi in località detta Guazzaloca, una zona di notevole importanza anche oggi per le opere di bonifica e di controllo idrico del territorio; lì doveva trovarsi una chiesa S. Maria del Porto ( ) ricordata in una Bolla papale dell’anno 1191: di questa chiesa si perdono le tracce nel sec. XIV. Dove si trovasse esattamente rimane ancora un mistero; in documenti dei secoli XV, XVI, la chiesa è indicata come confine dei terreni donati alla chiesa di S. Giacomo di Bevilacqua. Le carte topografiche più antiche collocano la Chiesa all’interno del triangolo compreso fra Guazzaloca, Palata e Bevilacqua.
Il Monastero amministrava queste terre attraverso dei fiduciari d’origine Longobarda. I rustici erano di condizione servile o semilibera e si occupavano di attività silvo-pastorali come l’allevamento d’ovini e suini o di caccia e di pesca. Mano a mano che il Monastero allargava la sua signoria, erano fondate delle chiese; un periodo di grave crisi lo ebbe nell’anno 899 quando fu distrutto dagli Ungheri, l’ultimo flagello delle invasioni dei popoli dell’Est all’Occidente, fermati da Ottone I nel 955 nella famosa battaglia di Lech. Questa vittoria dell’imperatore tedesco segnò la fine delle invasioni barbariche e l’inizio per l’Europa occidentale di una nuova era che favorì nel sec. XI il sorgere dei comuni e nel sec. XIII l’affermazione di uno straordinario incremento demografico dovuto anche ad una rivoluzione agronomica che diede una nuova prosperità ed incrementò l’economia dell’Europa. Nel X sec., nell’anno 961, il Pagus Perseceta fu annesso a Reggio e a Modena ed entrò a far parte del dominio canossiano del Marchese Azzo Adalberto proprio per investitura di Ottone I.
Nel sec. XI si insediarono le prime comunità rurali organizzate; protagonisti delle conquiste del territorio furono i borghesi e le famiglie dell’Aristocrazia terriera dei Bentivoglio, dei Pepoli e dei Bevilacqua, mentre le comunità cercavano di conservare i loro diritti collettivi.
La dominazione nonantolana, nel Pagus Perseceta, raggiunse la massima potenza nell’anno 1107 quando il Marchese Bonifacio di Canossa e la moglie Richilda donarono la Corte di Trecentola e Ponte Duce, l’odierna Casumaro. Molto presto il Monastero incominciò a cedere in affitto ai privati le terre incolte, in cambio percepiva un canone in danaro o parte dei prodotti. In età comunale tale prassi diventa normale. Il dominio del Monastero aveva favorito l’espandersi della giurisdizione di Modena a danno di quella Bologna: non dimentichiamo che per il territorio passava l’incerto confine fra Modena e Bologna e che intorno al sec. X il vescovo di Bologna incominciò ad estendere i confini della sua diocesi nel Pagus Perseceta e nel sec. XII riuscì a penetrare profondamente nella giurisdizione modenese quando con la morte di Matilde di Canossa, nel 1115, i territori canossiani passarono alla Chiesa di Roma e, attraverso questa, al Vescovo di Bologna.
Il vescovo per suffragare le sue pretese sul territorio si appellava ad una donazione fatta nell’anno 946 dal Marchese Almerico e da Franca sua moglie; l’atto comunque è un falso evidentemente commissionato dal Vescovo.
Nell’anno 1183 l’abate di Nonantola Raimondo concede agli uomini di Crevalcore i diritti di caccia, di pesca e di legnatico per tutto il territorio del Secco «a patto che dei cinghiali presi si rechino la testa e due unghie alla casa del Monastero, il cui Massaro o Castaldo darà quattro pani a chi recherebbe (… ) e che la decima parte dei pesci e dei gamberi che si pescheranno, si porti alla casa suddetta».
Le concessioni enfiteutiche, anche nel Basso Medioevo (sec. XI-XIII) sono un mezzo per mantenere il controllo sul territorio e sono anche un riconoscimento alle comunità rurali che assumono così una funzione specifica perché diventano un’istituzione politico-amministrativa. Le stesse terre concesse dal vescovo di Bologna e dall’Abate di Nonantola, dalle quali sono derivate le Partecipanze agrarie, erano state date prima in enfiteusi poi in affitto nel XIV sec. Nel nostro territorio le Partecipanze Agrarie di Cento e di Pieve hanno avuto origini da una concessione dei vescovi di Bologna, Principi di Cento e di Pieve, nel sec. XIII; le terre erano coperte da boschi e dovevano essere bonificate dalla popolazione rurale che avrebbe goduto dei frutti della terra in cambio delle fatiche sostenute per bonificarle. Le ripartizioni erano regolate da un patto di famiglia che dopo settecento anni è anche oggi in vigore e tuttora rigorosamente si osserva. In questo caso i vescovi si sono avvalsi dell’enfiteusi forse per mascherare una vera e propria vendita perché intendevano servirsi delle comunità rurali nella politica di dominio del territorio bolognese. Il secolo XIV è tristemente famoso per la peste nera che si diffuse nel 1348 in tutta Europa causando una vera e propria falcidia nella popolazione. La pianura fu certamente meno colpita, ma molti villaggi furono abbandonati; si tornerà ad assistere ad una ripresa di insediamento solo nel corso del XV secolo.
Il 14 Aprile 1463 il Monastero di Nonantola concesse al Marchese Gherardo Bevilacqua, esponente dell’aristocrazia ferrarese, in enfiteusi il territorio posto «in loco dicto Palata iuxta motam Sancti Christophori usque ad motam salicis, a mota salicis usque ad motam fusci, a mota fusci usque ad Ec¬clesiam vocatam S. Mariae in Portu, a S. Maria in Portu usque ad Nidum Aquilae, confinando semper cum Il.mo D. Romeo de Pepulis, usque ad Albaronum ab Albarano usque ad motam S. Christophori».
Si trattava, seguendo la descrizione del Frizzi, di una «amplissima tenuta posta in Crevalcore, luogo del territorio di Bologna, e della Diocesi dell’Abazia di Nonantola. Apparivano colà vaste boscaglie e paludi infruttuose. Il Monastero, che n’era proprietario, le aveva prima concedute a Bartolina da Novara, il celebre Architetto, cred’io, e capitano di Niccolò Zoppo Signor di Ferrara, autore della Famiglia de’ Conti Novara di questa Città. Forse ebbe egli sul principio il coraggio di diseccarle coll’aiuto massimamente delle sue cognizioni idrostatiche; ma forse non ebbe il tempo, o gli altri mezzi per condurre a termine l’impresa. Sottentrò dunque Gherardo Bevilacqua, e ne fu investito perpetuamente dall’Abbazia li 14 Aprile 1463 col peso di una certa pensione annuale, e coll’obbligo di render capaci di coltura que’ fondi, e di fabbricarvi, e dotarvi una Chiesa ed una casa per un Sacerdote.
I giudici delegati dalla Santa Sede approvarono il contratto nel 1478. La chiesa parrocchiale dedicata a S. Giacomo Apostolo fu consacrata il 6 giugno 1490 da Monsignor Antonio Manaidi Vescovo di Sarsina.
Sono passati cinque secoli e nel 1990 la parrocchia festeggia i Cinquecento anni della consacrazione della Chiesa conosciuta in passato dal popolo come Chiesa Bianca.
Questi cinquecento anni di storia meritano, in altra occasione, di essere esplorati per recuperare aspetti della nostra comunità e soprattutto per creare una prospettiva del passato o meglio il «senso della memoria» in tutti noi.
«O MARIA, MISTICA VALLE…
Per uno studio sulla Madonna della Valle
di Gian Paolo Borghi e Renzo Zagnoni
PREMESSA
La Madonna della Valle venerata in un oratorio distante oltre un chilometro dalla chiesa parrocchiale di Bevilacqua. Appartenente al territorio della Diocesi di Bologna e del Vicariato di Cento, l’oratorio è ubicato nel Comune di Crevalcore, ai confini con l’area centese ed il basso modenese (Comuni di Finale Emilia e Camposanto). I risultati della ricerca intorno a questo luogo di culto, qui esposti, sono il fruito di una prima fase d’inchiesta, attuata in tempi diversi ed inquadrata in un più vasto progetto territoriale incentrato sullo studio della fenomenologia votiva nonché su vari altri aspetti storico – devozionali ed etnografici della religiosità. Precisiamo doverosamente che in questa specifica circostanza abbiamo privilegiato sia i momenti della tradizione orale sia i materiali scritti rinvenuti nell’archivio parrocchiale, allo scopo di documentare dall’interno di una comunità rurale le motivazioni di una tuttora più che apprezzabile intensità devozionale all’immagine della Madonna (la «Madonnina») della Valle da parte dei fedeli.
CULTO E DEVOZIONE
Secondo quanto reperito sul versante bibliografico (e che in seguito illustreremo più diffusamente), l’edificazione dell’attuale oratorio dedicato alla Madonna della Valle risale al 1902, grazie alla generosità di una devota-benefattrice, la signora Ester Padovani Cremonini. Il culto a questa immagine, la cui iconografia viene ricondotta dagli studiosi alla Beata Vergine dell’Olmo di Budrio, a quanto ci consta ha origini ancora da definire dal punto di vista temporale: le ricerche condotte presso l’archivio parrocchiale di Bevilacqua non ci hanno purtroppo consentito di raccogliere notizie relative agli anni che precedono la costruzione dell’oratorio.
Anche se i cenni storici pubblicati su opuscoli ed immaginette devozionali richiederebbero precise confutazioni archivistico-documentarie, nondimeno gli stessi possono costituire una traccia sull’origine del culto. Nel già menzionato opuscolo promosso dal parroco don Attilio Olmi si legge ad esempio:
«Le origini della Madonna della Valle risalgono alla fine del 1700. Il nome le viene dal luogo, poco distante dalla parrocchia e vicino a una valle di risaie. Non si sa con sicurezza in qual modo questa effigie sia colà giunta. Si dice che un bambino pascolando il gregge, La trovasse fra le erbe e poi dalla buona mamma fosse appesa a un albero lì accanto. Al principio del 1800, riconoscenti per le grazie ricevute, i valligiani vollero erigerle un elegante pilastro, il quale nel 1847 fu sostituito da un’edicola sorretta sul davanti da 2 colonnette e sul retro dal muro nella cui nicchia stava la venerata Immagine.
Da quell’epoca la divozione alla Madonna della Valle andò estendendosi in un modo veramente sorprendente.
Allo straordinario moltiplicarsi delle grazie e dei favori, giungevano pellegrinaggi sempre più numerosi portando candele offerte doni ex voto. Nel 1887 per dare maggior decoro alla sua festa, veniva portata nell’oratorio della madonna di Loreto (presso il palazzo Bevilacqua) e nell’anno successivo 1888 si incominciò a festeggiarla, nella seconda domenica di ottobre, nella Chiesa parrocchiale dove per 4 giorni si svolgevano in suo onore solenni funzioni con un grande concorso di popolo. Non mancavano per altro i festeggiamenti esterni, comprendenti graziose luminarie, gare di fuochi artificiali, gare di rinomati corpi bandistici.
Frattanto nel 1902 la Signora Ester Cremonini faceva erigere in luogo dell’edicola, una graziosa Cappella che venne pochi anni fa restaurata ed abbellita».
Immagine della Beata Vergine della Valle, che veniva acquistata dai fedeli per essere incorniciata: fine anni trenta. (raccolta L. Fabbri)
Da un’immaginetta devozionale abbiamo conferma di quanto sopra descritto, con ulteriori particolari, sia pure con una serie di date tutt’altro che collimanti con le precedenti:
«Fin dal 1846 detta Effigie fu collocata fra i rami di un albero frondoso posto nei possedimenti della Nobilissima Famiglia dei Duchi Bevilacqua ad una distanza di circa 1500 metri dalla Parrocchia. Aumentando giorno per giorno la devozione dei fedeli, si provvide nel 1836 [1856?] alla costruzione di un pilastro, e poscia – dopo qualche anno – di una edicola sostenuta nel davanti da due colonnette, .e nel fondo di un muro, nello spessore del quale fu preparata una nicchia in cui si collocò la Santa Immagine. Venne aggiunto – verso il 1885 – un solido ed elegante inginocchiatoio. Quell’edicola però non doveva bastare, perché la devozione alla Madonna della Valle- così chiamata dal terreno circostante che fu in tempi non lontani vallivo – si era largamente propagata alle parrocchie ed ai paesi all’intorno; e fu nel 1892 che la Sig.ra Ester Padovani Cremonini, con atto generoso, fece edificare l’elegante Oratorio che oggi accoglie ì pellegrini che continuamente affluiscono da ogni parte» .
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nostro secolo la devozione tocca toni assai elevati, anche da parte di fedeli costretti per mancanza di lavoro a recarsi all’estero. Nell’ottobre 1896, ad esempio, quindici emigrati residenti a Tremont, negli Stati Uniti, inviano la somma complessiva di L. 43,75 per la Solenne Festività di M. V. della Valle. Si tratta di: Vecchi Germano e Raffaele, Sala Cesare, Guidoboni Didimo, Ardizzoni Luigi, Busi Giovanni, Bosinotti Cirillo (di Parma), Pederzani Ettore ed Aniceto, Rebetti Riccardo (parmense), Macagnani [sic] Adriano, Sala Massimiliano, Bettoli Archimede, Barbieri Alfonso, Tassinari Innocenzo.
Anche dopo la costruzione del piccolo oratorio i devoti si recano a pregare la Madonna della Valle in qualsiasi ora del giorno e della notte. Dacché rimane del continuo aperto, onde evitare qualsiasi profanazione, il cardinale Giacomo Della Chiesa, in visita pastorale dal 23 al 24 ottobre 1910, ordina la rimozione della pietra ivi allocata.
Altre notizie concernenti sia la devozione all’immagine sia il luogo di culto sono riferibili al termine della prima guerra mondiale, durante la visita pastorale del cardinale Giorgio Gusmini. In data 27 aprile 1919 il parroco, can. Camillo Bergonzoni, precisa tra l’altro nelle risposte ai Quesiti che gli vengono specificamente formulati sugli oratori presenti nella parrocchia:
«Santuario della Madonna della Valle, distante quasi un miglio dalla Chiesa Parrocchiale, vi concorrono diversi devoti. Detto Oratorio fu edificato nel 1902. La festa si celebra nella seconda domenica di ottobre, preceduta da un triduo predicato, con molta frequenza di fe deli, specialmente ai Santi Sacramenti. Dette feste sono sostenute con offerte dei devoti».
Con una nota dattiloscritta portante la data 11 ottobre 1919 il convisitatore don Giovanni Laudi rileva che il santuario della B. V. della Valle è tenuto con poca proprietà, manca il Crocifisso, manca la dicitura esterna.
La devozione dei parrocchiani registra probabilmente qualche segno di minore intensità negli anni Trenta. In un citato opuscolo dell’inizio del decennio successivo si legge infatti:
«In questi ultimi anni la divozione alla gloriosa Madonna dopo un certo periodo di affievolimento, mercè l’opera del parroco che a tutto è ricorso per farla rinascere e per estenderla sempre più, essa si è fatta più sentita e si è sviluppata in un modo veramente meraviglioso. Lo dimostra chiaramente i numerosi pellegrinaggi, la richiesta di oggetti ricordo, la celebrazione di S. Messe presso la Venerata Immagine, l’affluenza meravigliosa finora non mai vista di migliaia di persone alle belle funzioni che si celebrano al suo oratorio nel mese di maggio. O quanti in questi tempi calamitosi vanno a Lei; e sono nobili e poveri, vecchi e giovani donne e bambini che venendo da città e paesi anche lontani si prostrano dinnanzi a Lei e le confidano piangendo i loro bisogni, le loro pene, le loro trepidazioni. E a tutti la Vergine Santa concede un sorriso di speranza, un conforto, una gioia, una grazia».
Nel maggio 1934 don Attilio Olmi, parroco di Bevilacqua, promuove la fondazione della Compagnia della Madonna della Valle, il cui statuto viene approvato nel 1937 dal cardinale Giovambattista Nasalli Rocca Da un atto d’iscrizione leggiamo che detta compagnia si propone lo scopo di rendere più diffusa, più viva, più intensa la devozione verso tanta e sì prodigiosa Immagine. Aperta ad uomini e donne non oltrepassanti il cinquantesimo anno di età (con eccezione di quelli in grado di versare gli arretrati), l’iscrizione prevedeva i seguenti vantaggi spirituali:
1. Si celebrano al Santuario della Madonna N. 2 messe all’anno.
2. In tutti i sabati dell’anno Rosario e preghiere spirituale [sic] al Santuario.
3. In punto di morte si farà l’agonia con le preghiere rituali.
4. Avvenuta la morte N. 3 messe di suffragio».
La compagnia, che all’atto della costituzione vanta circa duecento iscritti, è tuttora in vita.
Dopo il secondo conflitto mondiale, che risparmia ingenti danni materiali a Bevilacqua ed alle sue campagne, per un decennio vengono effettuate processioni votive con l’immagine della Madonna della Valle, la seconda domenica del mese di maggio.
La festa della Madonnina che si celebra in questi ultimi anni segue uno schema che trae ispirazione da quello originario. Il giovedì precedente la seconda domenica d’ottobre l’immagine è condotta nella chiesa parrocchiale con un corteo processionale. Nelle due sere successive vengono celebrate messe con inviti particolari alle comunità di Renazzo e di Palata. Dopo una vigilia in cui si commemorano i defunti della Compagnia della Madonna della Valle, la domenica – giorno della festa – i devoti assistono a messe solenni e partecipano ad una processione pomeridiana lungo le strade di Bevilacqua. L’afflusso dei fedeli è imponente. Non mancano le consuete attrazioni esterne, tipiche delle feste di paese (illuminazione, lotteria di beneficenza, bancarelle, eventuale presenza di complessi bandistici, ecc.). Il lunedì l’immagine viene ricondotta all’oratorio.
Tra i vari restauri ivi effettuati, ci piace menzionare l’ultimo, promosso da due devoti di San Matteo della Decima.
Al termine di detti lavori è stata pure posta una lapide con la seguente epigrafe:
«Ricorrendo l’anno mariano 1987 indetto da Giovanni Paolo II questo santuario dedicato alla Madre del Redentore fu restaurato alla memoria dei coniugi Sisto e Mimma Bergonzoni a lor guisa ogni pellegrino trovi in quest’oasi di pace nelle fatiche ristoro e nell’arduo sentiero della vita materno conforto. Q.R.B.
25 III 1989 Festa della SS. Annunziata»
PATRIMONIO VOTIVO E PREGHIERE DEDICATE ALLA MADONNA DELLA VALLE
Il patrimonio votivo attualmente visibile è assai ridotto, ma per il passato si hanno testimonianze di una sua ben più rimarchevole consistenza. Attestano le note a stampa di cui già ci siamo avvalsi:
«Dalla Cappella della Madonna della Valle ogni giorno la benedetta Madre di Dio effonde sopra i suoi devoti presenti e lontani tesori di grazia e di benedizioni tanto spirituali che temporali, come fanno fede gli ex voto conservati nella Cappella stessa e nella Chiesa Parrocchiale»21).
«Appesi ai muri laterali si vedevano grucce, bastoni, occhiali, quadri, oggetti vari, chiare testimonianze di grandi grazie ricevute».
«I molti devoti portano alla Madonna l’attestato della loro riconoscenza; e sono lumi, oggetti d’oro e d’argento, e comunque preziosi, e talvolta grucce e bastoni fattisi inutili per la guarigione ottenuta da Colei che ama chiamarsi la Salute degli Infermi.
Alcuni gioielli votivi sono depositati in altro luogo e le residue espressioni di gratitudine (o di ricordo dei defunti) sono recenti e risultano rappresentate soprattutto da fotografie (diverse riguardano militari ed una -incorniciata – raffigura un corridore cicli sta), da alcuni cuori metallici e da una corona per la recita del rosario. Non sono segnalate (almeno per tempi a noi relativamente vicini) tavolette lignee votive.
Seguendo l’esempio di noti santuari, da alcuni anni i devoti hanno a disposizione un taccuino od un quaderno su cui apporre firme, richieste di grazie, osservazioni, ringraziamenti, ecc.
Molte sono le grafie giovanili che ivi compaiono come, ad esempio, su un foglio datato 8 febbraio 1983 in cui è stata annotata la seguente poesia:
«O cara Madonnina
tu sei vita per tutti noi sei la santa e la Divina
fa che in noi regni la Bontà.
Una preghiera, sol possiamo
che il nostro sguardo giunga a te
sul nostro cammino andiamo
fa che sia buono questo per me».
L’immagine della Madonnina della Valle portata in processione al suo chiesolino)
Il 9 maggio 1983 una mano incerta ha scritto a matita: Madonnina ti arincrazio che hai protetto la nostra/famiglia mio figliol ha già finito con tanta/ serenita il militare/ ti ringrazio/Paola.
In data 28 ottobre dello stesso anno si legge:
La grazia che ti chiedo/ è quella di fare cessare/la guerra nel Libano.
Qualche anno prima alcuni bambini avevano apposto queste note:
17.9.79/Cara Madonnina/del/a Valle ti prego/aiuta tutta la/mia famiglia/e aiuta me a/migliorare ogni/giorno di più.
10.10.79/Oggi siamo venuti qui nonostante/l’acqua e il fango di cui/gli strade/li sono pieni, e siamo/venuti qui per te/ Alberto e Alessandro.
[1980] / Cara Madonnina della Valle, scusa/se sono sgarbata coi compagni/e se non vengo spesso da te. Venerdì tornerò a salutarti e al dirti una preghierina r25J.
Nel 1990, infine, altri bambini si rivolgono alla Madonna della Valle in questi termini:
14.3.1990- Cara Madonnina, fammi diventare più buono/e più ubbidiente, e aiutami a migliorare/ nello studio/Cercherò di impegnarmi il più possibile/grazie.
22.4.1990- Cara madonnina per favore fà guarire/mio padre dalla sua malattia. Per questo ringrazio.
Esistono preghiere (alcune a stampa, altre da noi rinvenute manoscritte) che sono state o sono tuttora rivolte alla Madonna della Valle: si tratta soprattutto di invocazioni tese all’ottenimento di grazie, anche specificamente connesse al lavoro contadino. Le più note sono le seguenti tre orazioni, stampate un tempo al verso di varie immaginette devozionali ed ancora oggi recitate a memoria da devoti
I. O Maria, mistica valle, ove il Divin Padre, che eletta vi volle all’altissima dignità di Genitrice del Suo Unigenito, adunò la pienezza della grazia, come fra le sponde del mare fin dal principio tutte le acque raccolse; deh! ottenete a noi vostri divoti di gelosamente conservare, e di tosto riacquistare se perduto il deposito della grazia divina, tanto preziosa quanto la vita eterna che da essa dipende. Ave Maria.
II. O Maria, valle privilegiata, ove spuntò il vago e purissimo Giglio da secoli promesso, che del grato suo olezzo ricreò santificandolo il genere umano deturpato dalla colpa: deh! ottenete a noi vostri devoti la grazia di non allontanarci giammai dagli esempi di Gesù, il cui buon odore ci renderà cari a Chi soltanto premierà le veraci virtù. Ave Maria.
III. O Maria, valle ubertosa, ove crebbe rigoglioso e pieno il frumento divino, di cui alimentossi nel genere umano la vita di verità e di giustizia: deh! ottenete a noi vostri devoti la grazia di godere sempremai del cibo soprannaturale che la vera vita ci alimenta dell’anima: e sostenendoci nelle battaglie del mondo, di satana, delle passioni, ci aiuti a conseguire i gaudi interminabili del paradiso. Ave Maria.
Altrettanto nota era la preghiera che veniva indirizzata alla Madonna della Valle per ottenere la pioggia:
l. O (Maria Vergine Santissima) Gloriosa Vergine della Valle che vi siete tante volte degnata di esaudire le nostre preghiere, ascoltate benigna questo che vi innalziamo ora che proviamo il castigo di questa ostinata siccità.
Se volgete una parola all’onnipotente Iddio, che al dire del Profeta ricopre il cielo di nubi; ed alla terra prepara la pioggia affinché ce la conceda, promettendo di evitare ogni colpa contro la fede.
Ave Maria – Auxilium Crist. – Ut fructus terrae.
2 O (Maria Vergine Santissima) Gloriosa Vergine della Valle che prima di la sciare questa terra per essere assunta in cielo, ricordaste agli uomini che in ogni triste circostanza di questa vita ricorriamo fiduciosi a Voi e vi avrebbero sempre esperimentata Madre pietosissima, deh volgete uno sguardo al Signore Iddio che al dire del Profeta produce sui monti e sulle valli il fieno e gli erbaggi, per servizio dell’uomo, impetrateci la sospirata pioggia. Che se mai causa di questa siccità fossero le nostre colpe, deh, voi o Vergine ottenetecene il perdono da Dio e fate che fermamente aspettiamo quanto è necessario per la nostra eterna salute.
Ave – Auxilum – Ut congruentum pluviam fidelibus tuis concedere digneris -te-
3 O (Maria Vergine Santissima) Gloriosa Vergine della Valle noi sappiamo che non si concede grazia da Dio se prima non passa per le vostre benefiche mani deh otteneteci da Lui la Grazia che domandiamo. Da lui che al dir del profeta benedicendo i campi saranno grandemente ubertosi, le valli abbonderanno di frumento, anzi esse stesse alzeranno le voci e ne canteranno le lodi. Deh ascoltate o Maria, Vergine della Valle ubertosa, i gemiti di tanti innocenti che non hanno mai provocato la vostra collera e i sospiri dei poveri peccatori che aborrendo sinceramente i propri peccati, vi scongiurano di sospende re quei flagelli che conoscono d’aver meritato.
Deh o Vergine potente, Madre pietosa e pia consolate noi tutti col coprire di nubi benefiche il nostro cielo, e fate che esse diffondano sui nostri campi le sospirate acque ristoratrici.
Per meriti di Colui che richiama Fontana di Acqua viva, accordateci senza ritardo una grazia tanto importante onde liberati da questo flagello che ci travaglia e ci minaccia possiamo ringraziarvi e amandovi per tutta la vita dichiararvi nostra potente protettrice.
Ave – Ut. – Ora pro nobis S.».
Seguendo un ordine temporale riportiamo le due preghiere apparse al verso delle ultime immaginette devozionali stampate:
«O Vergine santissima che nel segno della tua venerata immagine, dal tuo santuario proteggi Bevilacqua e tutto il vicinato, rivolgi dal Cielo su noi il tuo sguardo di materna bontà.
Ai nostri fanciulli conserva l’innocenza del cuore, difendi e ravviva nel popolo la fede dei nostri padri, suscita anime generose che, ai nostri giorni, con la preghiera e con le opere, affrettino l’avvento del Regno di Cristo.
Veglia sulle nostre case, assisti le nostre famiglie, dona pace a tutte le genti. Benedici noi e i nostri cari nella vita e nella morte.
Fa che un giorno felice, premio di rinnovato impegno cristiano, per i meriti del tuo Figlio Gesù, possiamo godere la gloria dell’eterna vita».
«Sotto il materno tuo Manto mi rifugio, o Santa Madre di Dio, accogli l’umile preghiera che io elevo dinanzi alla tua Immagine venerata in questa «Valle», liberami da tutti i mali materiali e spirituali, rendi a tutti sereno il cammino che conduce alla Patria del Cielo, ove tu risiedi, quale, eccelsa Regina d’Amore. Grazie! Salve Regina… »
Concludiamo questo paragrafo con l’Inno popolare alla Madonna della Valle, ora conosciuto soltanto da pochi parrocchiani
«O Madonna della Valle, Venerata in questa effigie,
Soccorreteci nel calle Della vita, per pietà!
Una valle è questa terra, Val di lacrime e dolori;
Combattiam in aspra guerra Col nemico tentator.
Madre, udite il nostro pianto, E venite in nostro aiuto;
Deh copriteci col manto Della vostra protezion.
Lungi stian per Voi i miasmi, Che corrompono i costumi;
Voi fugate anche i fantasmi Di Satanno ingannator.
Rispondete ai nostri inviti, Quando alziamo a voi la voce,
E volgete sempre miti Gli occhi vostri su di noi.
Dalla febbre d’ogni male Preservate la nostr’alma,
E non mai colpa mortale Abbia in preda il nostro cuor
D’esta Valle nello stagno Il Serpente traditore
Non insidii più al calcagno Di chi sempre in voi fidò.
L’aria densa, che d’intorno Spira a danno della fede,
Risanate, e chi non crede Abbia fè, speranza e amor.
Questa Val bonificate Colle grazie e coi favori;
Questa valle fecondate Con rugiada di virtù.
E noi poveri esiliati Nella Valle dell’angustie,
Chiameremci fortunati Se sarete in mezzo a noi.
Scioglierem più lieto il canto A Voi, Madre del Signore,
Ripetendo ad ogni tanto Colla voce e più cor cor:
O Madonna della Valle, Venerata in questa effigie,
Soccorreteci nel calle Della vita, per pietà!»
Il Cardinale Arcivescovo Giacomo Biffi in visita all’oratorio della Madonnina della Valle la sera di sabato 8 settembre 1990.
(fotografia di L. Fabbri)
L’ANTICA CHIESA DI BEVILACQUA ALLA FINE DELL’ANNO 1765
Il documento che segue è uno stralcio dell’Inventario Delle suppellettili, e Altri effetti Attinenti a questa Parrocchia Consegnati al Novello Rettore D. Domenico Seracchioli conservato nell’Archivio parrocchiale di Bevilacqua (carte sparse). Si tratta di un’utile descrizione dell’antica chiesa, dei suoi altari e del beneficio parrocchiale. Anche se un po’ ostico, il modo di scrivere del ‘700 è tutto sommato abbastanza comprensibile e consente di apprendere di prima mano una realtà paesana oggi non più documentabile se non attraverso questi rari scritti. Per brevità abbiamo riportato soltanto la parte attinente agli altari, alle proprietà, alla canonica e non il dettaglio degli oggetti ivi contenuti.
«Invocato il SS. Nome di Dio. Questo dì 8-9.bre 1765 Bevilacqua.
Inventario di tutti i beni stabili amovibili e semoventi che sono, e appartengono alla Chiesa di S. Giacomo della Pallata Bevilacqua ora vacante per la Morte del fù R.do Sig.r D. Innocenzo Longhi Rett.e della detta Chiesa.
P0• la Chiesa tutta imbiancata di dentro e di fuori senza volto al di sopra dimostrante i travi che la sostengono. In questa Chiesa vi sono cinque Altari cioè:
L’Altare maggiore, nella di cui Ancona si trova l’Effigie di S. Giacomo Titolare di detta Chiesa, l’Effigie di S. Carlo Boromeo e della Beata Vergine il tutto dipinto in tela ma in stato cattivo e quasi logoro.
L’Altare della Beata Vergine del Rosario dalla parte del Vangelo nella di cui Ancona vi sono scolpiti i Misterj del SS. Rosario come pure in mezzo si vede un Nicchio nel quale stà riposta la Statua della Beata Vergine del Rosario.
Dalla parte istessa lateralmente verso il mezzo si ritrova una Cappella il di cui Altare è dedicato a S. Antonio di Padua dove si vede nella medesima Ancona dipinta l’immagine di S. Gaetano, dalla parte del Vangelo di detto Altare si vede un Nicchio posto in muro, dove si conserva una piccola Statua di S. Antonio fatta in legno, e poco distante si ritrova appeso al muro una tela in cui è dipinta l’Immagine di S. Antonio Abbate.
Dalla parte della Epistola della Capella maggiore in fronte si ritrova l’Altare dedicato a S. Sebastiano e Rocco e questo si dice esser jus Patronato della Famiglia Giberti, à questo Altare deve il Parroco pro tempore celebrare ogni quarta Domenica del Mese, e per cui la detta Famiglia Giberti è obligata dare ogni anno al Parroco un Sacco di frumento. Più deve celebrarvi due volte l’anno e l’elemosina di queste è determinata sopra il frutto di L. 50. moneta di Bologna per Censo [?] e li due Sacrificj si celebravano ne’ giorni de SS. Sebastiano e Rocco, e questa per raggione di Legato.
Dalla parte medesima lateralmente verso il mezzo si ritrova la Cappella o Altare della Beata Vergine di Loreto sopra del quale si vede un ornato con un Nicchio in mezzo, nel quale si conserva la Beata Vergine di Loreto formata di stucco.
Similmente nel lato destro dell’ingresso in Chiesa si ritrova un’Altare Cappella nella quale vi è il Battisterio la di cui pilla è di sasso con il piede di pietra, la cima da cui viene ricoperta è di Legno al di dentro coperta di pelle stampata e al di fuori coperta d’una tela stampata.
Il Coro della Cappella maggiore e tutto ornato di noce con suoi Sedili uniformi. In oltre sopra la porta maggiore di detta Chiesa v’è un Organo piccolo con sua Cantoria.
Dalla parte del Vangelo della Capella magg.e vi è una piccola Sagristia con cinque Armarj, dove si conservano li Aredi della Chiesa, una Carega di noce antica e due inginocchiatoj, sopra de quali appeso al muro si ritrova la Cartella della preparazione a comodo de R.R. Sacerdoti.
Dalla parte del Epistola di detta Chiesa vi è un Campanile non molto alto, nel quale vi sono due Campane, ed un Campanino, e alla metà un Orologio, che denota le ore al di fuori e batte sopra la campana magg.e.
In prospetto alla Porta Magg.e di questa Chiesa vi è il Cimiterio chiuso con un muro di pietra, dal lato della Chiesa verso la strada vi è un Sagrato ò sia piazzale salicato di pietre, e chiuso con cattene di ferro sostenute da fittoni di Massegna, e più una Croce inalzata sopra una Colonna di pietra.
Dall’altra parte della Chiesa si ritrova la Canonica con sua Ara, e stalla e à capo di detta ara una piccola casa quasi cadente la quale contiene in sè il forno, Bugaderia e polajo à comodo di detta Canonica. Seguita à questa una pezza di terra, parte prativa, parte lavorativa à Caneparo con alcune piante di frutti sopra e circondata al intorno di Siepe con Orto parimenti ad uso di Casa quale in tutto ascenderà alla quantità di otto tornature circa con suoi noti confini, cioè a mezzo giorno colla Rega, à ponente colla via Publica1 che conduce al Palazzo, à Levante e Settentrione il S.r Marchese Alfonso Bevilacqua.
In oltre vi è un Luogo chiamato la preta che semina annualmente Corbe n°sette e questo è posto in detta Parecchia con suoi noti confini, cioè a Levante il Livello di raggione del fù Pietro Taddeo Mantovani, à Settentrione il Sig.r Marchese Cristino Bevilacqua, à ponente il Sig.r Marchese Alfonso Bevilacqua, à mezzo giorno la via Imperiale alias la Rega, Sopra del detto v’e la Casa del Contadino con tutte le sue aderenze».
Qualche foto della festa del 2023