21 Nov Mons. Borgatti
Sono sempre titubante ogni volta che mi imbatto in una biografia. Anzi ad essere sincero fino in fondo ho una certa avversione per le biografie. So che bene che non è un buon inizio per un mio contributo a questo libro ma ha il pregio di essere sincero. La verità è che temo sempre che le biografie siano un po’ come quei pensieri che vengono letti alla fine di un funerale, quando tutti diventiamo molto meglio di quanto eravamo.
Eppure sapevo che l’unico modo che avevo per conoscere il Vescovo Borgatti era attraverso questo biografia. Così mi sono dato un metodo: ho cercato di concentrarmi sui fatti, su quanto di concreto e tangibile fatto, su quanto ha costruito e lasciato dietro di sé il Vescovo dalle radici renazzesi. Non un metodo perfetto, intendiamo, ma un metodo.
Ebbene: eccomi a contraddirmi! Vale la pena addentrarci in queste pagine e scoprire che non c’è poesia o retorica ma la concretezza di una vita spesa fina in fondo, con concretezza, con un Senso profondo di Chiesa, di Missione e di Carità.
Ma procediamo con ordine e facciamo strada insieme per arrivare a conoscere meglio il Vescovo Josè Borgatti.
Lasciatemelo fare, però, partendo un po’ da lontano, per quanto, infondo, vi chieda di seguirmi nell’ascolto della Parola di Dio e quindi è un “lontano” per cui vale la pena fare due passi.
Vangelo di Giovanni, capitolo uno versetto 14: “Ed il Verbo di Dio si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Testo bellissimo e potente allo stesso tempo ma che forse merita di essere spezzettato ancora un po’, quasi tradotto per gustarlo in tutta la sua pienezza. La dicitura “Verbo di Dio”, sganciata ad esempio da ogni categoria ellenistica che può scattarci dentro, porta questo suono più dolce : “L’Amore che crea ogni cosa, l’Amore che è Vita e da Vita ad ogni cosa, l’Amore che è Dio stesso che straborda verso di noi con puro dono d’Amore”, ebbene, proprio Lui, il Dio che è Amore, non ipotesi o congettura Lui “si fece carne”, divenne concretezza, vicinanza, condivisione, comunione; Lui, Dio che è Amore, divenne amico, fratello, padre, compagno, “complice” della parte più bella di ciascuno di noi. Lui, tutt’altro che l’Estraneo, “venne ad abitare in mezzo a noi” che tradotto alla lettera diventa “Lui pose una tenda da viandante” per stare in mezzo a noi. Una tenda da viandante! Certo perché c’è un solo modo, per Dio che è Amore Concreto, di essere “con noi”: venirci a cercare e ripartire e ricominciare. Sempre.
E c’è un solo modo per essere Cristiani: rimanere e farsi trovare.
E c’è poi un solo modo per essere Pastori: essere quelli che aiutano a montare, smontare e rimontare quella tenda di povertà e di Grandezza perché Dio sia in mezzo a tutti noi, in ogni momento, in ogni posto della nostra vita.
Sembra che io l’abbia presa da molto lontano eppure la storia di Mons. Borgatti ha fatto risuonare in me subito la tenda di Giovanni, la premura di Cristo che è davvero il riassunto plastico del Mistero dell’Incarnazione di nostro Signore.
Leggendo queste pagine, mettendo insieme i fatti della vita di uomo, prete e Vescovo, ho intravisto Josè Borgatti montare e rimontare la tenda di Dio a fianco ad ognuna delle realtà vissute, in una quotidianità sempre più densa e abitata da Cristo. Una tenda povera, come la sua origine, e montata spesso in mezzo ai poveri, come la Chiesa di Patagonia può testimoniare.
Nessun effetto speciale nella sua vita, nessuno gesto estremamente eroico, ma un sacerdozio ed un episcopato concreto e solido, fatto di obbedienza e di principi. Qualcuno, con queste premesse, potrebbe non trovare niente di speciale nella vita di Josè Borgatti, classe 1891, nato a Buenos Aires da papà Luigi, Renazzese, e mamma Lucia, di Corporeno. Ma accadrà solo a chi si è lasciato travolgere dalla retorica eroica del momento che per di più, quando parla di Chiesa, esalta come modelli e stimabili solo quei Consacrati che danno l’impressione di vivere la Chiesa come un’intollerabile fardello.
Mons. Josè Borgatti è stato “solo” un buon Sacerdote e un vero Vescovo ed è curioso che si tentenni a dirlo perchè sembra poca cosa. Ma Borgatti ha la capacità di insegnare che si cambia il mondo e si ama Dio laddove Dio nel mondo ci ha chiesto di stare.
“Semplicemente” è l’avverbio che racchiude molto di Mons. Borgatti. Conosce la vita semplice e difficile della vita povera ma dignitosa imparata da un papà austero e gran lavarotare ed una mamma assai devota. “Semplicemente” perché Josè ama ciò che fa: l’Oratorio, la vita spirituale che impara in Parrocchia prima ancora che al Collegio, la cura nel suo dovere e l’attenzione allo studio. “Semplicemente” perché rende facile il complicato non solo senza farlo pesare ma insegnando agli altri l’arte della Mediazione nell’amare la disciplina, nell’organizzare un evento, nel costruire la fraternità e formare il suo clero. “Semplicemente” perché fa della sua grande capacità oratoria, supportata da un’impressionante memoria, non un modo per porsi al centro ma per mettersi a servizio, come accadrà in occasione del Congresso Eucaristico Internazionale di Buenos Aires del 1934, dove per altro, mediante l’Oratorio, porterà all’incontro con Gesù nell’Adorazione, oltre 100.000 ragazzi nell’arco di una Settimana e poco più. Cercato da molti come Oratore, abile docente Universitario, renderà sé stesso utile per il bene degli altri e non viceversa. “semplicemente” esprime molto di Borgatti come modo di essere e di vivere anche i suoi doni. “Semplicemente” ma mai banalmente.
Salesiano vero, devotissimo di Maria Ausiliatrice (insieme all’immagine di Giovanni Bosco la vuole nel suo stemma episcopale), convinto sostenitore dell’Oratorio Festivo (a cui egli stesso dice di dover parte della sua vocazione) fin dal suo primo Sacerdozio ha servito la sua Chiesa con un senso profondo di pastorale aperta, cioè missionaria in ogni senso più profondo possibile di concezione del termine.
Ancor prima del Concilio, a cui prenderà parte con entusiasmo e commozione, Mons. Borgatti vive la sua pastorale proprio in quella direzione che il Conciilio finirà per indicare come via maestra per la Chiesa Universale: una missione aperta a tutti, per raggiungere tutti e far sentire tutti parte vive della Chiesa, anche con la propria cultura e lingua.
Farà di più il Vescovo Borgatti: spingere la missione pastorale verso le “periferie umane”, oggi care a Papa Francesco, oltre che quelle geografiche più estreme, della sua città prima e della Patagonia divenuta terra di conquista dell’esercito Argentino. Agisce, infatti, cercando di fornire insieme al Pane Eucaristico ciò che salva le persone più disagiate e finite ai margini: strumenti per tutelare la propria dignità, per riscattare la propria povertà e per reagire alle avversità con la ragionevolezza.
Per questo dal suo Sacerdozio e dal suo episcopato, resi assai pragmatici dalle sue capacità organizzative e di governo, nascono Scuole sul modello Salesiano, laboratori che completano la teoria dell’insegnamento con la pratica del lavoro e Seminari in cui la formazione e la disciplina, ma mai senza comprensione e mediazione, diventano opportunità per diventare collaboratori del Cambiamento.
La sua Missione ed il suo episcopato in Patagonia diventano l’opportunità di rendere feconda la Chiesa a tutela delle minoranze indigene sempre più calpestate dall’occupazione forzata di quelle terre, fino a porre all’attenzione spirituale di tutta la Chiesa il Beato Ceferino Namuncurà, primo beato Indios della Patagonia.
Ecco, tutto qui. Nell’ordine del “semplicemente”. Miracoli, voli pindarici, eroismi estremi? No nessuno. Ma un vero cristiano, un vero prete ed un vero Vescovo. Questo resta fascinoso del suo ministero e della sua persona
Mons. Borgatti ha fatto il prete e il Vescovo secondo il volere di Dio. E quando questo accade il Regno dei Cieli si compie, fosse anche nel silenzio di un seme che cresce lentamente ma inesorabilmente fino a diventare una pianta enorme.